Tatuaggi e concorsi per l’arruolamento nelle forze armate (nota a Consiglio di Stato. 16 febbraio 2022 n. 1167)
di Carmine Filicetti
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa – 2. Sull’inidoneità derivante da tatuaggi – 3. Riflessioni conclusive.
1. Premessa: la vicenda contenziosa
La sentenza che si annota affronta il tema del “tatuaggio[1]” considerato nella sua relazione con il concetto di decoro dell’uniforme.
La questione origina dall’esclusione dell’appellante dal concorso per il reclutamento di 2165 volontari in ferma prefissata quadriennale per l’anno 2015 nell’Esercito italiano, nella Marina Militare e nell’Aeronautica Militare, indetto con il bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, quarta serie speciale, n. 95 del 5 dicembre 2014.
La stessa veniva esclusa per non aver superato una prevista prova fisica e, in particolare, per il mancato superamento delle prove dei piegamenti sulle braccia e, avverso tale determinazione negativa, la predetta appellante ha proposto ricorso giurisdizionale dinanzi al T.A.R., con richiesta di misure cautelari, anche monocratiche.
Con decreto presidenziale veniva sospeso il provvedimento di esclusione e con successiva ordinanza collegiale veniva confermata la misura interinale di sospensione del provvedimento di esclusione.
Successivamente, in esecuzione dell’indicata ordinanza cautelare, l’attuale appellante è stata nuovamente convocata dalla Commissione di concorso per essere sottoposta ai previsti accertamenti psico-fisici nuovamente esclusa per la presenza di un tatuaggio posto sulla cute del lato sinistro del collo, ritenuto non compatibile con i requisiti concorsuali.
L’ornamento, posizionato sul collo, veniva ritenuto non compatibile con i requisiti previsti dalla procedura concorsuale; in ragione di tale vulnus, anche questa, successiva, esclusione veniva gravata dall’appellante con ricorso per motivi aggiunti.
Successivamente, il TAR adito si pronunciava dichiarando l’improcedibilità in quanto non vi era stata impugnazione della graduatoria finale del concorso ritualmente pubblicata.
Si proponeva, dunque, appello all’interno del quale veniva mossa censura visto che la dichiarazione di improcedibilità per la mancata impugnazione del Decreto dirigenziale pareva erronea in quanto con quest’ultimo provvedimento veniva approvata la graduatoria relativa alla seconda immissione nell’Esercito come VFP 4, mentre l’appellante rientrava nella prima immissione di VFP 4 e venivano altresì riproposti tutti i motivi non esaminati dal giudice di prime cure.
Inoltre, l’appellante sottolinea come il tatuaggio in questione era già impresso sulla sua pelle all’atto del primo arruolamento, momento in cui non ha comportato effetto alcuno, né in detta sede nè in relazione al prolungamento della rafferma dei VFP1.
Nel merito della questione del tatuaggio e, per quanto rileva in questa sede, l’appellante ha individuato un grave vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, derivante dall’esclusione direttamente collegata alla presenza della figurazione cutanea, poiché, dal canto suo, l’esistenza non poteva comportare ex se l’esclusione dal concorso essendo necessario a tal fine che esso sia deturpante o contrario al decoro dell’uniforme o ancora possibile indice di personalità abnorme.
Ancora, si spiegava come nel caso di specie il tatuaggio consisteva in “un piccolo e quasi invisibile tatuaggio in prossimità dell’orecchio sinistro e dell’attaccatura dei capelli, il quale non presenta certamente le caratteristiche suindicate” censurando, comunque, le mancate valutazioni di merito da parte dell’Amministrazione visto che l’appellante era già in cura, da molti mesi, per un trattamento laser chirurgico volto all’eliminazione definitiva del tatuaggio in questione.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, si è determinato per il rigetto del ricorso in quanto la pronuncia, oggi in nota, precisa che anche se il ricorso non fosse stato improcedibile sarebbe stato comunque infondato nel merito circa la legittimità dell’esclusione dell’appellante per la presenza del tatuaggio sul collo che, in quanto visibile, rappresenta elemento di inidoneità.
2. Sull’inidoneità derivante da tatuaggi
La rilevanza che assumono i tatuaggi nell’ambito dei concorsi per le forze armate è pregnante.
Tale rilevanza va posta in relazione alla famigerata uniforme, ovvero l’insieme dei capi di vestiario, corredo ed equipaggiamento che contraddistinguono gli uomini e le donne delle Forze Armate.
Tatuaggio ed uniforme costituiscono dunque una sorta di ossimoro, poiché se è vero che il vestiario e gli accessori costituiscono l’elemento distintivo della funzione dei pubblici poteri dei quali sono investiti i militari e le forze dell’ordine tutte nello svolgimento del proprio servizio; il tatuaggio appare come una sorta di “neo” capace di inquinare e svilire quella che è la funzione che l’uniforme figura, altresì, l’appartenenza a una specifica Nazione e a una determinata Forza Armata, ricordandone la Storia e le tradizioni sia di una che dell’altra: l’uniforme rappresenta, dunque, la sintesi della storia e delle tradizioni dell’organizzazione militare.
Sono numerosissime le pronunce giurisprudenziali che negano l’accesso alle Forze Armate per la presenza di segni più o meno evidenti per le ragioni ripercorse dalla pronuncia in commento che si muove sulla granitica scia disegnata dai massimi organi della G.A[2].
Orbene, i Giudici di Palazzo Spada richiamano quanto previsto dal Bando di Concorso (pubblicato in G.U. Serie Speciale n.95 del 5/112014) il quale prevede che la commissione dovrà giudicare inidonei i concorrenti che presentino tatuaggi allorquando, per la loro sede ovvero per la raffigurazione risultino contrari al decoro dell’uniforme.
Pertanto, risulta irrilevante la posizione del tatuaggio quando rappresenta una forma di disonore delle istituzioni ovvero indice di personalità inidonea; se invece, il tatuaggio è posizionato in una parte del corpo scoperta dalla divisa è in ogni caso elemento di inidoneità per l’accesso alle forze armate.
Invero, ormai, consolidata giurisprudenza ritiene che il tatuaggio sia causa di esclusione ove esso sia posizionato nelle parti del corpo scoperte dalla divisa anche qualora esso non rappresenti un disonore per le istituzioni[3]. In tali ipotesi, la commissione non detiene alcuna discrezionalità, non dovendo eseguire alcuna valutazione, bensì dovendo esclusivamente prendere atto degli esiti di un mero accertamento tecnico[4].
Altresì è meritevole di attenzione il punto della pronuncia relativo alla circostanza che il tatuaggio dell’appellante sia in via di rimozione.
Ciò che conta e rileva, secondo il giudice adito, è la presenza visibile del tatuaggio al momento della proceduta concorsuale e in quel preciso momento che la valutazione si cristallizza e, tale accertamento, non è pervaso da discrezionalità alcuna dunque in nessun caso può essere valutato il percorso di rimozione intrapreso[5].
A tale scopo è necessario il richiamo ai principi generali che regolano i concorsi pubblici per cui i requisiti recati nella lex specialis debbono essere posseduti al termine della presentazione delle domande. Ebbene anche se nell’ipotesi della verifica dei requisiti psicofisici tale termine è posticipato al momento della visita medica (momento effettivo di accertamento) non si può riconoscere valenza a fatti ultronei intervenuti successivamente[6].
In tale fattispecie, infatti, la commissione medica è chiamata alla verifica circa la riconducibilità della situazione di fatto accertata nella fattispecie astratta che disciplina le cause di esclusione.
Pertanto, nel caso che ci occupa, la commissione non ha fatto altro che segnalare la presenza del tatuaggio in una zona non coperta dall’uniforme e, pertanto, rientrante nelle ipotesi di inidoneità prescritte, rendendo superfluo qualsivoglia valutazione sulla entità ovvero significato dello stesso[7].
L’esigenza della non visibilità del tatuaggio, per collegarci al concetto di ossimoro, è strettamente collegata alla visibilità dell’uniforme, necessità che raggiunse l’apice durante il periodo napoleonico: i soldati dell’imperatore corso iniziarono a indossare copricapi sempre più ingombranti e accessori oltremodo luccicanti, il tutto per acquisire un aspetto tanto più imponente e maestoso quanto era più alto il grado del milite.
3. Riflessioni conclusive
La posizione della giurisprudenza è chiara e consolidata sull’inidoneità recata dai tatuaggi nell’ambito dei concorsi per l’accesso nelle forze armate.
Con sentenza n. 658/2020 i Giudici di Palazzo Spada ritenevano irrilevante la rimozione in corso d’opera del tatuaggio, costituendo anche il residuo del tatuaggio sbiadito (ma ancora visibile) legittima causa di esclusione dal concorso.
Difatti, il “residuo di un tatuaggio”, in via di rimozione non lo rende invisibile bensì elemento valutabile dalla commissione medica che senz’altro accerta la causa di esclusione. Né tanto meno è ipotizzabile la possibilità di posticipare la visita medica al momento della completa rimozione del tatuaggio poiché contrasterebbe con il generale principio di imparzialità e di parità di trattamento dei candidati.
È pur vero però che si scorge una inversione di rotta nella giurisprudenza più recente che non ritiene “sufficiente la mera visibilità di un tatuaggio per giustificare l’esclusione di un candidato dal concorso, indipendentemente dal fatto che il tatuaggio risulti deturpante dell’immagine del militare o possa risultare indicativo di personalità abnorme. Sebbene, quindi, la presenza di un tatuaggio su una parte del corpo non coperta dall’uniforme sia rilevante al fine della valutazione di idoneità, si deve escludere l’automatismo tra la visibilità del tatuaggio e l’esclusione dal concorso per l’accesso al Corpo di polizia penitenziaria, essendo necessario che la Commissione di concorso, esercitando la propria discrezionalità tecnica, valuti se il tatuaggio, oltre che visibile, costituisca causa di non idoneità in quanto deturpante o contrario al decoro per le istituzioni ovvero in quanto indicatore di personalità abnorme”[8].
Dunque, aver impresso sul proprio corpo una raffigurazione di qualsivoglia entità o specie non comporta, o non dovrebbe comportare ex se l’inidoneità ai concorsi relativi all’accesso delle Forze Armate.
Come detto, gli uomini e le donne che indossano la divisa rappresentano un’istituzione a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica e per tanto sono chiamati a possedere requisiti più stringenti rispetto a quelli richiesti per gli altri concorsi pubblici.
La disciplina è chiara nella previsione dell’inammissibilità dei candidati che abbiano tatuaggi su parti del corpo non coperti da divisa nonché nelle ipotesi di raffigurazioni che chiaramente rappresentino un disonore per l’uniforme indossata nonché evidenzino una personalità abnorme.
È l’amministrazione al momento delle verifiche che deve accertare esclusivamente la presenza di segni scoperti dalla divisa ed eventualmente valutare la portata di tatuaggi che si collocano in zone coperte dalla stessa.
È forse il caso di inquadrare in modo più stringente le ipotesi di inammissibilità derivante da tatuaggi?
[1] Tatüàggio s. m. [dal fr. tatouage, der. di tatouer «tatuare»]. – 1. a. Deformazione artificiale permanente dei tessuti cutanei, ottenuta mediante segni indelebili prodotti per puntura dall’inserzione sotto la cute di sostanze coloranti senza alterare la superficie epidermica. Per estens., il disegno ottenuto sulla pelle mediante tale pratica in treccani.it.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 01/04/2016, n. 1300 E’ legittimo il provvedimento di esclusione dal concorso a posti di vice revisore tecnico di Polizia giudiziaria a carico di una candidata in ragione di un tatuaggio disegnato sul polpaccio della gamba destra e non copribile dalla gonna della divisa.
[3] Ex multis T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 22/09/2016, n. 9903 “La presenza di un tatuaggio in zona visibile è sufficiente per giustificare l’esclusione del candidato dal concorso, indipendentemente dal fatto che il tatuaggio in questione possa risultare deturpante o indicativo di personalità abnorme”.
[4] Sul punto si veda Cons. Stato Sez. IV, 09/03/2020, n. 1690; Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2019 n. 6640; Cons. Stato, Sez. IV, 18/03/2011 n. 1690.
[5] v. T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 12/05/2015, n. 6860 “Non può essere reputato deturpante un tatuaggio, peraltro in fase di rimozione, di centimetri 4×5 che raffiguri un motivo floreale. La non immediata percepibilità visiva della presenza di un tatuaggio non consente di ritenere che la sua presenza risulti in contrasto con il prototipo di figura istituzionale, il che rende irragionevole e sproporzionata – rispetto alle finalità presidiate dalla disciplina di riferimento – l’esclusione del ricorrente dal concorso”.
[6] Di tale avviso, Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 658; Cons. Stato Sez. IV, 30/06/2020, n. 4109; Cons. Stato Sez. II, 01/09/2021, n. 6155.
[7] Sul punto T.A.R. Salerno, (Campania), sez. I, 03/03/2015, n. 463
Il tatuaggio costituisce legittima causa di esclusione dalle procedure concorsuali indette per l’assunzione di personale militare o, comunque, in divisa, solo quando le dimensioni o i contenuti dell’incisione sulla pelle siano rivelatori di una personalità abnorme, ovvero quando questa sia oggettivamente deturpante della figura o incompatibile con il possesso della divisa medesima. Quindi è onere dell’Amministrazione fornire, all’atto della esclusione, concreta e puntuale motivazione in ordine alle ragioni per le quali, di volta in volta, il tatuaggio sia stato ritenuto preclusivo dell’assunzione o incompatibile con il possesso della divisa.
[8] Cfr. TAR Lazio sez. V n. 2063/2022